Si può considerare la comunità parrocchiale come Chiesa Universale e vederne al suo interno le stesse particolarità. Abbiamo già detto che il concetto fondamentale di Chiesa si regge sui quattro pilastri definiti “note essenziali della Chiesa” e professati nella confessione della nostra fede, secondo il credo Niceno – Costantinopolitano: “Credo la Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica”. Il nostro impegno deve avere come punto di partenza la capacità di vedere e di capire se queste particolarità sono realmente i pilastri del nostro essere chiesa, comunità viva, e, di conseguenza, provare a pensare la nostra parrocchia retta da questi quattro pilastri, edificandola o rinnovandola su di essi. Di fatto, quanto appena detto appare molto idealistico. Ciò che si pone come punto di partenza del nostro essere comunità ha spesso poco a che fare con le note essenziali della Chiesa, pensiamo che siano cose che riguardano la chiesa di Roma e non noi nel nostro piccolo. Proprio per questo, come detto sopra, è necessario pensare alla nostra parrocchia come Chiesa universale. Per fare questo, prima di tutto, bisogna eliminare molti stereotipi radicati nella nostra cultura, come per esempio l’elemento numerico. Per essere Chiesa non è necessario per forza essere in tanti: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono con loro!” (Gesù). Piuttosto si dovrebbe avere un intenzione comune: riunirsi nel nome di Gesù. Questo sarebbe già sufficiente per garantire l’autenticità del proprio essere cristiani e, allo stesso tempo, per conseguenza, il proprio essere Chiesa. Oltre al fattore numerico, bisogna ridimensionare tanti altri stereotipi: l’idea di essere chiesa solo al momento delle celebrazioni, che prive di comprensione diventano “funzioni religiose”, ossia spettacoli di religione che possono definirsi belli o brutti a seconda che chi “fa la funzione” sia o meno un bravo attore; si è Chiesa sempre, per il solo fatto di essere stati battezzati in Cristo. L’idea che se non c’è parroco non c’è nemmeno parrocchia: concetto assolutamente stravolto che porta al pensiero che la parrocchia si possa costruire solo attorno al parroco; la verità si trova invertendo i fattori, perciò si è parroci in funzione di una parrocchia, capace di vita propria anche aldilà delle capacità da buon manager del parroco.
Don Gianni
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DIO SI SERVE DELL’UOMO (ma a volte l’uomo si serve di Dio)
Serve che si viva una vita normale, sapendo che spesso il fatto di esserci allontanati dalla nostra natura umana è servito anche ad allontanarci da Dio. In sostanza, vivere da uomini significa affrontare le responsabilità di tutti i giorni, nella costante ricerca di una società migliore, più libera, più semplice e più accogliente. In questo la Chiesa dovrebbe essere assoluta protagonista, visto che, fondando la propria esperienza sul Vangelo di Cristo, fa le sue scelte (anche storiche) sulla base delle beatitudini: beato chi è semplice, beato chi lotta per la giustizia, beato chi è perseguitato a causa del vangelo. La felicità si esprime nella lotta, nella ricerca, nella fame e nella sete di verità. Da nessuna parte, nel Vangelo, è scritto che sono felici coloro che si sono adagiati perché hanno ormai raggiunto una posizione sociale di rilievo. A nessuno viene chiesto di massacrare se stesso con le penitenze o violentando le proprie scelte. A tutti, ma proprio a tutti, invece viene chiesto di amare la propria vita così com’è, di amare Dio e il prossimo, di avere la disponibilità ad imparare sempre dagli altri e da tutto ciò che ci circonda, di mettere in crisi i sistemi di pensiero cristallizzati e pieni di muffa, di cercare il bene. Di non adagiarsi insomma. Bisogna però guardare la realtà in cui viviamo ed essere critici almeno un po’. C’è purtroppo un modo di concepire la Chiesa che non ha niente a che vedere con le beatitudini, in cui tutto ciò che sembra essere fatto per il Vangelo… sembra e basta. È apparenza. Troppa gente si è adagiata sul potere della propria posizione sociale, attraverso cui è più facile usare il nome di Dio per affermare se stessi che compromettersi e morire per affermare il nome di Dio. Il mio sembra un giudizio feroce, ma è solo un’opinione tra tante, condivisibile oppure no. Resta il fatto che da circa 500 anni si è rafforzata molto la divisione tra cristiani e super cristiani, due categorie di fedeli in cui i primi sono sottoposti a giudizio e i secondi ne sono assolutamente immuni.
Don Gianni
La mia poesia di Natale
La mia poesia di Natale
La mia poesia di Natale è una canzone,
è una preghiera, è un augurio,
è un pensiero per tutti gli ultimi del mondo.
Ci sono ultimi perché hanno fame,
ci sono ultimi perché muoiono di una malattia
che non si può più curare,
ci sono ultimi perché non hanno più la dignità di un lavoro,
ci sono ultimi perché hanno perso affetti e famiglia,
ci sono ultimi che si son persi nella droga e nell’alcol,
ci sono ultimi convinti di essere i primi,
ci sono molti ultimi e infine, in fondo alla fila ci sono anch’io, ultimo.
Qui per adorare un bambino.
Siamo qui per chiederti di riconoscere la nostra dignità di ultimi,
in fila, in cammino,
ma con la pazienza e la speranza di essere ascoltati.
Canto, prego, auguro che ogni buon desiderio ed ogni preghiera
sia esaudita dal Dio-con-noi.
Don Gianni
Inizio del ministero di don Gianni Pippia nella parrocchia di San Paolo Apostolo in Oristano
Dopo quattro anni di condivisione di cammino umano e spirituale insieme con don Maurizio, viviamo un nuovo cambio alla guida della nostra comunità parrocchiale. Sabato 21 ottobre, don Gianni Pippia ha celebrato l’Eucaristia con la sua nuova comunità parrocchiale, segnando ufficialmente l’inizio del suo incarico di Amministratore Parrocchiale come voluto dall’arcivescovo di Oristano, mons. Ignazio Sanna.
“Caro don Gianni non ti conosciamo, ma sei il benvenuto e ti auguriamo ogni bene. Siamo certi che saprai guidarci con la tua personale spontaneità e spiritualità che ti caratterizza. Accompagnaci nel cammino di fede personale e comunitario. Siamo un gregge di periferia, con mille difetti e problemi, ma tu non arrenderti e non smettere di ascoltarci.
Sappiamo anche che dobbiamo condividerti con il Seminario diocesano, ma forse questo sarà un arricchimento per noi perché ci auguriamo che il seminario, in qualche maniera e nel limite del possibile, sia partecipe alla vita della parrocchia per arricchire il nostro cammino verso regno di Dio.
Abbiamo ascoltato con attenzione la tua prima omelia e le tue parole di saluto alla fine della celebrazione Eucaristica. Così abbiamo cominciato a conoscere e voler bene te e la tua famiglia e i tuoi nipoti che sull’altare si sono posti al tuo fianco. Grazie per il tuo sì al tuo e nostro vescovo; noi ti promettiamo le nostre preghiere e il nostro aiuto”.
Don Maurizio saluta la comunità di San Paolo
Lo scorso sabato 30 settembre Don Maurizio, durante una solenne Celebrazione Eucaristica, ha salutato la comunità di San Paolo Apostolo, che ha guidato per soli quattro anni.
Benché si tratti di un tempo molto breve per l’amministrazione di una parrocchia, egli è riuscito a realizzare tante cose buone sia a livello pastorale e amministrativo che di miglioramento della parrocchia.
Era un giovanissimo presbitero quando 4 anni fa’ gli venne affidato l’incarico di amministratore parrocchiale e fin da subito ha conquistato il cuore di tantissimi bambini, ragazzi e adulti con i suoi modi gentili, la semplicità dei gesti, la capacità di trasmettere la parola di Dio, la gioia nel suo modo di vivere la vita e il sacerdozio. In quegli stessi cuori la notizia del trasferimento ha creato inizialmente tanta tristezza e smarrimento, ma “tutto era scritto nel libro del Signore” come lui stesso ha affermato nel suo saluto alla comunità.
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